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NON DOBBIAMO DIMENTICARE
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Sono passati 8 anni da quel 28 dicembre 1999 in cui sette persone persero la vita nel rogo del Serraino Vulpitta. In quella che fu la prima tragedia, di una lunga serie, ad avvenire dentro i Cpt italiani. Quando, durante un tentativo di fuga, sette migranti furono travolti dalle fiamme scoppiate dentro le loro celle.
Allora i Centri di Permanenza Temporanea erano appena stati istituiti con la legge Turco-Napolitano (primo governo Prodi) ed il Serraino Vulpitta di Trapani fu proprio il primo ad essere aperto. Fu l'inaugurazione di quella mostruosità giuridica chiamata “detenzione amministrativa”, nome meno sgradevole di “carceri etniche” per denominare dei luoghi in cui, non ci stancheremo mai di dirlo, le persone sono rinchiuse non “per ciò che hanno commesso” ma “per ciò che sono”, tanto da diventare più famosi come “Lager italiani”.
Da allora le mobilitazioni per la chiusura dei Cpt si sono moltiplicate in ogni parte d'Italia e la manifestazione del 28 dicembre a Trapani è diventato un appuntamento fisso: ogni anno, da ogni parte della Sicilia (e non solo), ci siamo dati appuntamento per ricordare quelle sette vite spezzate, ma anche e soprattutto per chiedere la chiusura di quel posto e di tutti i Cpt di Italia, per denunciare gli abusi che quotidianamente vengono perpetrati al loro interno e per rivendicare il diritto alla libertà di circolazione.
Quest'anno, per la prima volta, il 28 dicembre non ci sarà una manifestazione a Trapani e questa data rischia di essere avvolta da un silenzio assordante.
I motivi sono molti, due tra tutti. In primo luogo, lo dobbiamo ammettere, nel “movimento” sono stati commessi molti errori: nelle scorse manifestazioni le beghe interne e le lotte intestine hanno preso il sopravvento rispetto alla diffusione della lotta e delle sue ragioni, e rispetto al raggiungimento degli obiettivi comuni.
In secondo luogo, è cambiato il clima generale. Negli anni passati la lotta per i diritti dei migranti ha accomunato soggetti molto diversi: dai cattolici radicali ai centri sociali, dai giornalisti coraggiosi all'associazionismo, passando dal forum di 11 presidenti di regione e arrivando alla mobilitazione delle comunità di immigrati e alle vertenze dei richiedenti asilo. Tutti costoro erano riusciti a costituire un terreno comune e partecipato, portando i diritti e le condizioni dei migranti all’attenzione dell’opinione pubblica, riuscendo a fare diventare “senso comune” l’orrore per i CPT e la necessità di recuperare uno spirito solidale con cui ripensare la questione migrante.
Una lotta che in Sicilia ha portato anche delle vittorie importanti.
Grazie alle nostre mobilitazioni sono stati chiusi i Cpt di Agrigento nel 2004 e quello di Ragusa nel 2006, quello di Lampedusa ha subito varie condanne dalle comunità internazionali.
Ora è il clima generale ad essere cambiato, la “paura” inizia a prendere il sopravvento, la questione migrazioni viene inserita nel capitolo “sicurezza” e l'equazione migranti-criminali sembra aver raggiunto il suo apice storico, che si tratti di lavavetri, di una donna che si china a prendere una monetina o di sette pescatori tunisini che salvano 44 persone dal naufragio.
E' difficile non trovare un collegamento con il sopravvenuto cambio di governo.
Prodi è tornato, Napolitano (il creatore) è diventato Presidente della Repubblica e quelli che quando erano all'opposizione facevano mea culpa per aver votato la creazione dei Cpt, quelli che promettevano un Italia senza “Campi”, ora che sono forza di governo, come denunciato nelle settimane scorse da padre Alex Zanotelli, continuano a votare il rifinanziamento dei Cpt e della guerra (ma niente paura, è solo tattica!).
Negli anni passati l'abolizione della Bossi-Fini e la chiusura dei Cpt erano stati pensati come “obiettivi raggiungibili”; l'assurdità e la brutalità di questi luoghi aveva raggiunto un livello di consapevolezza talmente condiviso da renderli uno “scandalo”, la loro chiusura è stata considerata non solo dovuta, ma anche possibile.
Ma ciò che fino a ieri era considerato uno “scandalo” sembra oggi diventato normale e “necessario”, la retorica dell’ “umanizzazione” ha fatto il miracolo: basta dare una parvenza di decoro ai Lager ed il problema è risolto!
In quest'anno e mezzo quando le cose non sono peggiorate, sono praticamente rimaste immutate. A regolare l'immigrazione in Italia c'è ancora la Bossi-Fini. La bozza Amato-Ferrero, sulla cui approvazione comunque nessuno scommetterebbe una lira (chissà in quale scaffale è sepolta), pur presentando dei fragili elementi di miglioramento, non sarebbe di certo un segnale di rottura e nemmeno di “superamento”. Su un altro versante, continua la farsa delle quote d’ingresso, solo che al posto delle file notturne davanti alle Poste, umilianti ed indegne di un paese civile, c’è l’attesa disperata davanti ad un computer, con la mano stretta sul mouse per un “clic” dal quale dipende il destino di centinaia di migliaia di persone.
In Sicilia il tratto più evidente di questa regressione politica e culturale è che il Cpt di Lampedusa, contro il quale anche la CGIL ha più volte manifestato, adesso è gestito da una cooperativa aderente a Legacoop.
Sentiamo il rischio forte che questa crisi abbia un effetto travolgente, che il freddo siderale che caratterizza il mondo istituzionale si espanda a colpire tutta la società, facendo tramontare quella presa di coscienza collettiva e mettendo fuorigioco le lotte e le mobilitazioni intraprese.
Noi, per rispetto della nostra storia e per il futuro che abbiamo davanti, dobbiamo sottrarci a questo processo. Dobbiamo ritornare a discutere anche delle cose che ci sembravano acquisite e dobbiamo recuperare la voglia di non fermarci nonostante i muri, fisici e non, che ci si erigono davanti.
Questa lettera vuole essere un invito a riprendere, in modo urgente, l'iniziativa politica contro i Cpt.
Laboratorio Zeta
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