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Note sulla condizione delle donne in Iran
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Tra diritti umani e religione
La condizione delle donne in Iran, derivante dall'applicazione di un'ideologia senza dubbio misogina, lungo la storia millenaria di questo Paese, culla della cultura persiana, si è caratterizzata in momenti di grande discriminazione di genere e in altri in cui, in seguito ai tentativi di alcuni leader politici di riformare il paese (rivoluzione bianca, leader in carica Muhammad Reza Pahlavi), tra gli interstizi del potere le donne sono riuscite ad ottenere un discreto stato di emancipazione e rappresentanza.
In una Repubblica islamica in cui il potere reale è detenuto dal Consiglio dei Guardiani, i guardiani del Corano che hanno il compito di controllare che le leggi non siano in contrasto con la dottrina islamica, nel caso dell'Iran quella di matrice Sciita, purtroppo il riconoscimento giuridico (e umano) della donna è ancora radicalmente legato ad un'idea di servilismo e sottomissione all'uomo. E' ancora un mistero come l'uomo abbia sempre creato connubi tra discriminazione e ordine spirituale.
Khamenei, attuale leader spirituale del regime reazionario dell'Iran, sostiene che alle donne deve essere impedita l'attività socio-politica, giustificando con queste parole l'apartheid sessuale: ``L'uomo è edotto nei campi economico e finanziario, le donne hanno difficoltà. Le donne devono partorire, allattare, sono fragili fisicamente, moralmente e sentimentalmente, non possono entrare in ogni campo perché non reggono gli scontri. Tutto questo crea dei limiti alle donne che gli uomini non
hanno, perciò in questi campi gli uomini sono superiori''.
L'elezione di Mahmoud Ahmadinejad, con la carica di capo di governo nell'agosto 2005, ha completato l'estromissione dei sostenitori riformisti dal processo politico e ha portato ad una concentrazione del potere nelle mani del Leader Supremo, l'ayatollah Sayed `Ali Khamenei, per l'appunto. Oltre al potere giudiziario e a quello legislativo, questi quindi, ha in mano anche quello esecutivo. Il mullah Mahmud Ahmadinejad, garante dello spirito del Corano, continua a negare parità di diritti alle donne. Ma andiamo un po' indietro.
La rivoluzione islamica
Il 1979 è l'anno della rivoluzione islamica. Le donne scesero in piazza e contribuirono all'ascesa dell'ayatollah Khomeini, massimo esponente religioso della comunità sciita. Khomeini rompe i rapporti con gli USA e dichiara l'Iran Repubblica Islamica. La sua ascesa al potere, fiancheggiata dai mullah che guidarono la protesta, nasce dalle accuse al regime precedente di Pahlavi di allontanarsi dai dettami dell'islam in nome della modernità. Fu una rivendicazione di libertà religiosa. Esclusivamente religiosa, perché di fatto, una volta al potere i mullah, non potendo arginare il ruolo femminile nella società iraniana, indicono una serie di dettami umilianti volti a scoraggiare la partecipazione pubblica delle donne. Per rendere ancora più visibile la loro sottomissione al potere degli uomini le donne sono obbligate ad indossare il velo: è lo hejab il soprabito scuro che copre le donne in ogni parte del loro corpo, dalla testa ai piedi.
La legislazione su discriminazione sessuale
La Repubblica Islamica dell'Iran mantiene la pena di morte e non è firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne e relativo Protocollo opzionale.
Le Forze di Sicurezza di Stato di Teheran (SSF) sono sempre molto impegnate nel controllo di possibili pericoli alla sicurezza dello Stato. Rappresentando il braccio esecutivo dei mullah, rispondono ai loro ordini, svolgono importantissimi compiti di sicurezza pubblica contro possibili sovversioni e atti di ribellione allo Stato Sovrano dell'Iran. I ``ribelli'' sono spesso le donne ed i giovani iraniani. I compiti delle SSF spesso si concretizzano in atti di restringimento della libertà di azione e di scelta dei giovani iraniani. Lo stato iraniano arriva a giudiziare sulle preferenze musicali. La pubblica sicurezza controlla che la musica ascoltata nelle automobili non offenda le leggi del Corano, che i veli delle donne ricoprino in maniera serrata l'intera capigliatura, che i giovani non facciano feste in cui peccaminosamente possa essere consumato alcool. Un paese dalla cultura millenaria che serra i giovani e li costringe alla vigilanza continua sui loro gesti, obbligandoli a muoversi nella ``clandestinità'' per poter accedere a canali di informazione o semplicemente per ascoltare le canzoni dei Pink Floyd.
Spesso non è necessario un ordine giudiziario, le forze dell'ordine possono agire in totale autonomia contro tutte le possibili ``deviazioni'' del costume. Umilianti tabelloni vengono affissi sulle vetrine dei negozi, sui muri, il loro contenuto è un inequivocabile intimidazione alle donne a rispettare il codice islamico sull'abbigliamento, pena 100 frustate in pubblico. Il procuratore dello stato dichiara: ``i fazzoletti (foulard o sciarpe) che non coprono i capelli ed il collo, i soprabiti o i cappotti stretti e quelli corti sopra il ginocchio e le cui maniche non coprano il polso, i pantaloni stretti che non coprano le caviglie e il trucco sono tutti proibiti'', e che chi non obbedisce al codice sull'abbigliamento sarà trattata di conseguenza: da 10 giorni a 10 mesi di prigione. Le donne stanno affrontando un provvedimento più duro dalle elezioni di giugno, quella che ha condotto alla presidenza Ahmadinejad. La massima autorità del regime dei mullah ancora una volta applica la discriminazione sistematica contro le donne, che di fatto tenta in ogni modo di estromettere da ogni attività socio-politica.
Solidarietà internazionale
Le donne nel mondo si organizzano in associazioni a difesa dei diritti. Le donne iraniane, residenti in altri paesi, Germania, Stati Uniti, Canada, Italia...hanno fondato comitati ed associazioni a difesa dei diritti delle donne in Iran. Anche Amnesty International è scesa varie volte in campo per denunciare casi di soprusi e condanne a morte mediante lapidazione di donne iraniane. Amnesty si è appellata alla Commissione dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite per far cessare in Iran le crudeli esecuzioni pubbliche. ``Con la creazione della Repubblica islamica e l'avvento della sua teocrazia governante, molte donne sono state condannate a morte e linciate. Questa pratica scandalosa è stata incorporata nello statuto iraniano. La violenza sulle donne, la negazione dei loro diritti e della loro libertà di scelta, la soppressione della loro autonomia fisica, rappresenta il cuore stesso del fondamentalismo''.
Nonostante nel dicembre 2002 una moratoria impedisce la pratica della lapidazione, le condanne alla pena di morte non sono cessate. La lapidazione, inoltre non è l'unico sistema per ``punire un reato'', vi sono anche l'impiccagione e la fucilazione mediante plotone.
Intermezzo
Non è semplice capire e districare i meccanismi complessi che portano una nazione, un popolo, la sua cultura a raggiungere e ad abbracciare determinati modelli di significato. I determinanti della storia rendono un sistema e i suoi codici qualcosa di unico e a volte talmente distante da non poter avere la giusta chiave d'accesso per una interpretazione che renda giustizia alla realtà. Quello che mi è accaduto durante la stesura di questo breve cenno al sistema iraniano è di mettere più e più volte in discussione la mia forma di pensiero tentando una sospensione del giudizio, non certo riferito alla questione delle donne che può solo essere condannata, ma mi riferisco al sistema spirituale, del clero, dei mullah, degli immam e delle loro interpretazioni del Corano che determina questa condizione. Non abbandono la piena consapevolezza che una storia millenaria non si può risolvere in tre parole e con una condanna basata su di un processo del tipo ``se...allora''. Ma, senza avere la pretesa di includermi nella categoria ``occidentale'', visto che non sono mai riuscita a comprendere di che categoria si tratti, la condanna alla discriminazione, ai soprusi, ai tentativi di sottomissione che subiscono le donne iraniane in nome del costume religioso volevo esplicitarla con forza, dalla elettiva e privilegiata categoria ``donna'' e da quella libera e laica di ``abitante di questo mondo''.
Donne in prima linea
``Una vita di rivoluzione e speranza'' è il sottotitolo del libro ``Il mio Iran'' di Shirin Ebadi, giurista iraniana, premio nobel per la pace nel 2003 per il suo impegno e le continue battaglie in difesa ai diritti umani fondamentali, delle donne e dei bambini. È membro della Women Nobel Iniziative, che ha sede ad Ottawa. E' stata nominata presidente del tribunale dal 1975, ma dopo la rivoluzione del 1979 è stata costretta a dimettersi per le leggi che limitarono autonomia e diritti civili delle donne iraniana. ``Teheran diviene ogni giorno scenario di numerosi arresti, epurazioni, esecuzioni capitali''. ``Ero a Teheran in quei giorni di rabbia dopo la fuga dello scia' Reza Pahlavi e dopo una rivoluzione breve e incruenta, pero' ricordo che una donna in processione con altre hostess, per protestare contro il chador, venne accoltellata da un uomo che insieme ad altri esagitati maschilisti definiva puttane o con altri termini osceni quello schieramento femminile''. Alla fine del 1980 il comitato di epurazione destituisce Shirin dalla sua carica di giudice distrettuale. "Ero una donna -commenterà la giurista - e la vittoria di quella rivoluzione esigeva la mia sconfitta".
L'ayatollah Khomeini muore il 3 giugno del 1989 e per tutti gli anni novanta il numero di donne laureate aumenta in maniera costante, superando addirittura quello dei maschi: ma il tasso di disoccupazione femminile è tre volte più alto. "Il privilegio di una laurea - scrive la Ebadi - non eliminò la discriminazione sessuale, ma installò nelle donne iraniane qualcosa che nel tempo trasformerà il nostro Paese: una viscerale consapevolezza della loro condizione di oppresse". Qualcosa che ha colpito nel profondo anche Shirin, che deciderà di mettere al servizio delle donne tutto il suo tempo e la sua capacità di giurista. Shirin è una delle tante donne iraniane che non ha mai smesso di lottare perché il suo amato Iran sia un paese in cui la donna venga riconosciuta culturalmente e giuridicamente al pari degli uomini, in un Paese in cui secondo la legge, ``la vita di una donna vale la metà di quella di un uomo'', un paese in cui questa formula viene applicata in tutte le sue forme, la deposizione di due donne, per esempio, vale come quella di un uomo. Shirin racconta che da quando Ahmadinejad ha assunto la carica di presidente la censura per gli organi d'informazione è aumentata. Molti siti internet sono stati filtrati, alcuni giornali sono stati chiusi, altri hanno subito azioni repressive e intimidatorie molto dure. Nel campo dei diritti delle donne ``anche se il 65% degli studenti universitari sono donne, e perfino Ahmadinejad, che rappresenta i nostri integralisti, ha un vicepresidente donna, le leggi restano profondamente discriminatorie''2. Shirin Ebadi ha ricevuto numerose minacce di arresto per la sua condanna contro la discriminazione delle donne. Da sei anni Shirin è a capo della Fondazione per i Diritti umani. La fondazione offre il patrocinio gratuito ai prigionieri politici (che sono il 70% dei carcerati); aiuta le famiglie; ogni tre mesi presentano alla stampa alcuni casi particolarmente significativi. Nonostante le accuse di fare un'attività illegale ``noi andiamo avanti, perché sono loro ad essere nell'illegalità''. Nel suo piccolo ufficio al piano terra arrivano ogni giorno le mamme di bambine violentate o uccise, le mogli di uomini torturati o uccisi, le figlie di genitori fatti assassinare dal regime.
Si tratta di cause difficilissime da difendere e che le costano una grande sofferenza. Per due mesi viene rinchiusa nel carcere di Evin, definito "luogo di tortura e di morte", ma neanche questa esperienza riuscira' a bloccare il suo slancio nella battaglia intrapresa a favore delle donne, vittime di ogni tipo d'ingiustizia.
``In Iran un ampio movimento di donne ha deciso di raccogliere firme per sostenere la richiesta di riformare le leggi che discriminano la parte femminile della società. Con un lavoro capillare, nelle città e nei villaggi, che mobilita diverse generazioni di attiviste: un'esperienza unica in un Medio oriente dove prevale l'atmosfera della guerra''.
La campagna «un milione di firme» è stata presentata il 27 agosto a Tehran durante un seminario pubblico. «L'esistenza di queste leggi in molti casi degrada le donne, le riduce a cittadine di seconda classe, assegna loro un valore che è metà di quello dell'uomo», dice l'appello, ora pubblicato su un sito web (www.we-change.org) con le firme di 51 promotrici, a cominciare dall'avvocata e premio Nobel Shirin Ebadi o dall'anziana poetessa Simin Behbahani che molte femministe iraniane guardano come una ispiratrice, poi l'editrice Shahla Lahiji, la regista Tahmineh Milani, o Sahla Sherkat che ha fondato e dirige Zanan («Donne»), uno di magazines femminili che alla fine degli anni '90 ha contribuito a cambiare il discorso pubblico sulle donne. Nomi noti, intellettuali, militanti politiche, donne che hanno pagato a volte con la galera il loro impegno. Come la stessa Firouzeh Mojaher, che ogni tanto divaga e ricorda quando è stata chiusa nel carcere femminile, nell'84, accusata di simpatie di sinistra, e le sono rimaste impresse le scritte lasciate sui muri da generazioni di detenute prima di lei (ragazze in attesa dell'esecuzione in momenti più bui della storia iraniana, prima e subito dopo la Rivoluzione). Poi riprende il filo: «Questa nuova generazione di femministe giovanissime ha un grande entusiasmo, avranno successo».
E' quello che speriamo.
Fonti di approfondimento:
http://www.ncr-iran.org/it/index.php
http://www.cultur-e.it/content_s.asp?subc=571
www.amnestyinternational.it
www.dirittiumani.donne.aidos.it Il segreto di Esma (Grbavica)
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