Pubblichiamo la seconda parte della conversazione fatta con la rivista cyberZone in occasione dell’uscita del numero 21: “All'ombra di Dio”.
La prima parte in cui affrontavamo i temi dell’ultimo numero la trovate qui. In questa seconda parte parliamo di spettri che si aggirano per l’Europa, di spettri che si aggirano per Palermo e di alcuni cari amici che purtroppo non ci sono più… ZetaLab: Che ne è della altra grande chiesa che ha segnato il novecento, la religione comunista? Cosa resta di quello spettro che si aggirava per l'Europa e delle promesse messianiche di trovare in terra il regno dei cieli? Enzo Macaluso: Il comunismo da molti è stato vissuto con un atteggiamento religioso, messianico, fideistico. C'era l'escatologia del comunismo: la finalità, la società futura, addirittura l”uomo nuovo”, che tanto danno ha fatto. Ma è stato spazzato via dalla crisi della razionalità. Il comunismo è finito non solo per il crollo dell'Unione Sovietica e per ragioni geopolitiche, ma è crollato per eccesso di razionalità occidentale, di Hegelismo, di dialettica, non per difetto. Ho letto di recente delle cose di Tronti in cui dice che il comunismo è crollato perché non ha saputo costruirsi una dimensione temporale di lunga durata come le chiese. Io sono convinto esattamente del contrario, cioè che è fallito perché legato troppo da vicino al processo di razionalità occidentale, troppo vicino a delle forme organizzative tipiche dell'occidente. Marcello Faletra : Andare a rileggere le frattura degli anni sessanta può essere utile a capire perché oggi si arriva ad una crisi ed un implosione di quello che passa per pensiero di sinistra. In Francia Foucault o Henry Lefevbre venivano espulsi dal PCF e qui in Italia il PCI ostacolava e vedeva come una minaccia la nascita dei movimenti extraparlamentari. Il Pci non tollerava alcuna critica radicale alla propria sinistra. I movimenti extraparlamentari erano visti dal Pci come movimenti che andavano eliminati. L'occasione è stata data alla fine degli anni Settanta dalle Brigate Rosse, che costituirono l'alibi fondamentale per far piazza pulita di tutta la sinistra extraparlamentare, che non era né con lo stato né con le BR. Da questo punto di vista il PCI è stato complice di una sorta di pulizia etnica del pensiero radicale. Per fare un esempio concreto: la morte di Pasolini. Le prime reazioni del PCI furono da Ponzio Pilato, lo stesso atteggiamento che tenne quando morì Peppino Impastato, quando l'Unità titolò “Morto Giovane”. Peppino aveva occupato le terre, l'aeroporto, aveva fondato Radio Aut. Lo sapevano tutti che era un militante. E il PCI scrisse “Morto Giovane”. In quel momento fu assassinato per la seconda volta. Solo dopo il lavoro di recupero della verità fatto dal gruppo legato a Peppino, ci fu la rivalutazione. Come fa adesso, con un ritardo clamoroso, su Pasolini. L'ortodossia PCI non tollerava gli omosessuali, gli davano fastidio. Si diceva: “il marxismo come giustifica gli omosessuali?”. Ancora oggi si fa l'errore di identificare il comunismo con il socialismo reale russo. E' vero, quella fu una dittatura spaventosa, con 30 milioni di morti in 50 anni, ma tutto si poteva dire tranne che quello fosse un comunismo. E questo lo si sapeva già dagli anni trenta, da quando Stalin inizia le grandi purghe, e i grandi Partiti Comunisti ufficiali hanno giocato un ruolo spaventoso. Ci sono delle responsabilità fortissime dell'ex PCI e tuttora questa responsabilità precipitano, rudono come le pietre, come le frane, creando un deserto. Per creare un senso di una comunità occorre creare radici diverse. Prima fare i conti con la storia, come in Germania, dove per due anni fanno studiare il nazismo, non come qua dove Mussolini passa per un bravo nonnino e nessuno si indigna. Questo revisionismo è il paradigma della nostra esistenza sociale, si personalizza la storia come se fossimo in un supermercato. Ma la storia non si può personalizzare: la memoria dei vinti è la memoria dei vinti, e nessuno può interpretarla a suo piacimento. ZetaLab. E gli spettri di Marx continuano ad aggirarsi? M. F. : Il marxismo ufficiale era un marxismo sclerotizzato e integralista. Ma c'è stato un altro marxismo che raccoglieva ed aggiornava le idee di Marx. Personalità come Foucault, Derrida o Baudrillard, pur partendo da prospettive assolutamente diverse, si ponevano il problema di quanto un certo marxismo occidentale si era posto in ottica di sostituzione ai poteri che criticava, assumendo i tratti del potere che erano quelli del potere capitalistico. E. M. : Dico una cosa che può sembrare forte, io non avrei alcuna difficoltà a buttare a mare il termine comunismo, ma ci terrei moltissimo a conservare la metodologia di Marx. Nel senso che Marx è ancora un fortissimo grimaldello di comprensione del capitalismo, perché senza Marx saremmo ancora ad una conoscenza primordiale del capitalismo. Non è un caso che filosofi come Derrida, alla fine della loro vita, hanno deciso di scrivere su Marx, perché questa operazione di revisionismo feroce è stata compiuta sotto il segno della reazione più clamorosa. Il segno della nostra sconfitta non è solo quello che si può vedere nei rapporti di forza attuali, lo si può vedere anche in come avvengono i processi. Io sono nato alla politica con un'idea di contestazione fortissima al comunismo realizzato, la mia dimensione militante era fortemente critica con i paesi dell'URSS, eppure la caduta dell'URSS ha spazzato via tutto. Perché evidentemente non siamo riusciti a portare la critica in maniera davvero evidente e forte da poterne uscire in maniera dignitosa e da sinistra. Il segno egemonico della sconfitta è tutto in mano ai nostri avversari, questo è il segno della dimensione del presente. Deleuze prima di morire disse di non volere più scrivere e di voler fare altro, ma che avrebbe voluto ancora scrivere un libro su Marx. Un po' per fugare una serie di dubbi e difendere la propria identità, poiché ci fu chi, in maniera del tutto stupida, insinuava che lui potesse addirittura ignorare la lezione di Marx accomunandolo ai nouvelle filosofe, ma lo voleva fare anche per dare linfa e forza nuova ad un pensiero che può essere riattualizzato. Il comunismo non credo, poiché, sottoposto ad una critica feroce, l'idea di comunismo secondo me non regge. Secondo me, e anche questo può sembrare forte, qualche risposta può arrivare, ma può arrivare soltanto da una tradizione di pensiero che è eterodossa rispetto alla tradizione dei marxismi. Guy Debord, che io considero uno degli intellettuali più straordinari del novecento, prendeva della storia del comunismo soltanto l'esperienza consiliare degli anni venti, che sono stati l'unico periodo storico in cui il comunismo è stato all'ordine del giorno, e alcune cose di “Storia e coscienza di classe” di Lucacks. Zetalab. Mi sembra che abbiate detto cose leggermente diverse rispetto al terreno molto delicato della memoria... E. M.: Io sono per processi di interruzione della memoria ed in questo faccio riferimento ad Adorno. La memoria storica è fondamentale e bisogna averne consapevolezza, ma la memoria storica non è una riserva da cui attingere. Non a caso gente come Foucault parla di “genealogia della storia” e non di “evoluzione della storia”. Io penso che bisogna interrompere alcuni processi, uno dei quali è quello della memoria storica: interrompere significa introdurre degli elementi di rottura all'interno del filone della continuità della storia. Così probabilmente restiamo figli di nessuno, ma questo può essere foriero di possibilità maggiori rispetto a quello di avere un grosso fardello di memoria alle spalle. ZetaLab: Questo però comporta dei rischi, cioè quello di vivere il presente come unica dimensione. La cancellazione della memoria può voler dire la cancellazione dell'immaginazione e la cancellazione del passato può comportare la cancellazione di ogni possibile futuro... E. M.: Su questo non inventiamo nulla, Nietzsche ha già detto tutto, “La seconda inattuale” bisogna prenderla come vangelo. La storia c'è e bisogna conoscerla, bisogna conservare anche il segno di ciò che è accaduto, su questo non c'è dubbio, ma l'idea che la storia abbia una finalità, in cui tu devi metterti a cavallo e venire trasportato dai processi della storia, questo non regge. M. F.: Bisogna stare molto attenti a distinguere la memoria dal ricordo personale. La memoria incide sulla temporalità. È ciò che Freud aveva straordinariamente individuato nell'interpretazione dei sogni: la condensazione. Aggiornando il linguaggio di Freud, queste forme di condensazione, sono blocchi di memoria, come diceva Deleuze, che sono coesistenza nello stesso istante di più temporalità diverse. Cioè la mia infanzia, il mio presente, la mia proiezione del futuro. Se ciascuno di noi si aprisse a questa coesistenza ed evitasse di confondere la memoria con il ricordo, allora si può recuperare ciò che è memoria e la memoria è sempre qualcosa che è proiettata sul futuro. ZetaLab: Cosa vuol dire oggi fare lavoro intellettuale, cioè lavorare sulla conoscenza e i linguaggi come piano politico? E. M. : L'idea dell'intellettuale come guida, quella dell'intellettuale organico che detta la linea, di fatto non esiste più. Per il fatto stesso che non esiste più il referente di questa guida. L'idea intellettuale che resiste è quella della trasmissione orizzontale dei saperi, della relazione. Anche l'idea di una produzione culturale autonoma dai grandi centri può essere utile a chi cerca ancora una dimensione umana decisiva di cambiamento e trasformazione. E' questo che tentiamo di fare nel nostro piccolo, non essere “al servizio di” o “in funzione di”, ma l'idea di uno spazio che lasci fluire dei materiali. M. F.: Oggi il revisionismo è anche nel linguaggio e c'è un vuoto di opposizione. Perché questa non è una sinistra: ci sono due destre: una destra moderata (che finalmente prenderà il nome che gli spetta di Partito Democratico), e una destra accelerata ed aggressiva. Così come in Inghilterra e Stati Uniti. Il linguaggio è fondamentale. Se guardiamo bene anche i telegiornali, addirittura Rifondazione Comunista passa per “sinistra radicale”, cioè per sinistra estrema. Basta un'analisi semiologica elementare per capire come viene spostato il processo di acquisizione dei segni rispetto alla compagine sociale generale. Se Rifondazione dopo tre anni passa ancora per sinistra estrema, cosa dev'essere chi non è d'accordo con Bertinotti e con la guerra? Non può che essere un terrorista, l'equazione è automatica. La parola terrorista è diventata un ombrello semiologico per escludere qualsiasi voce che non fa parte del coro. ZetaLab: Più volte vi ho sentito dire che questa rivista potrebbe benissimo essere fatta in qualsiasi altra città e, in più, che provavate un certo fastidio rispetto al fatto che i palermitani parlano soltanto di Palermo. Per una volta però facciamo uno strappo alla regola e ne parliamo. Come vivete la città e com'è fare questa rivista a Palermo? E. M.: Cyberzone nasce su alcune coordinate precise che sono tacite, ma condivise. Una è che non veicola linee di nessun genere, ma è uno sguardo, una visione tangenziale. La seconda è che non ha costruito, anche per scelta, legami con il territorio. E' vero, potrebbe essere fatta, nelle stesse forme in qualsiasi altra città. A Palermo la memoria ha una funzione regressiva, di mancanza del presente. Il retroterra della città è fermo agli anni sessanta. Si discute ancora del “Gattopardo”. Io non ho nulla contro il “Gattopardo” e Tomasi di Lampedusa, però è chiaro che c'è un ritardo culturale notevole. Le idee di cui si parla sempre e di cui si occupano i giornali: pagine e pagine su la Palermo Felicissima, la Palermo Liberty di inizio secolo nascondono soltanto le miserie del presente. E' un rifugiarsi in un mondo che non esiste più. In più, penso che solo Palermo, per questa sua dimensione che l'attraversa abbia potuto dimenticare in quindici anni le stragi di mafia, sulle quali si era tentato di costruire un equilibrio diverso in questa città. Per la prima volta si era infranto un blocco sociale, per cui alcuni spezzoni di quella che veniva definita borghesia mafiosa si erano allontanati, proprio per l'orrore che si era creato. Ma in quindici anni questa città ha metabolizzato tutto. ZetaLab: Palermo è ancora una città mediterranea? Qual'è il suo futuro? M. F.: C'è un certo imbarazzo nel parlare di mediterraneità. Da un lato c'è una certa retorica sul ponte tra culture, dall'altro non si fa nulla. Raddoppiare la base di Vicenza non è un segnale di apertura verso il mediterraneo, tutt'altro. La città mediterranea è una città plurale. Palermo aveva questo aspetto di città estatica, legata alla dimensione della festa che negli ultimi anni è stata letteralmente fagocitata dalla formattazione dello spettacolo. Le feste popolari si sono uniformate a quello che è lo spettacolo televisivo. Palermo è una città legata ai sensi, ma qua i sensi sono diventati un'altra cosa. Sono diventati una violenza dei sensi: si urla continuamente, si suona continuamente... Della città mediterranea resta soltanto il mito. E' una città che si vuole pubblicitaria: tutto show, tutta apparenza. Zetalab: Dedicate questo numero a due storici collaboratori e amici di Cyberzone recentemente scomparsi: Jean Baudrillard e il Prof. Bad Trip. Un ricordo di questi due grandissimi personaggi? M. F.: Baudrillard è sempre stato un nostro caro amico e ci ha sempre dato materiali da pubblicare senza mai avere atteggiamenti da Star. Capiva che la rivista è una rivista di frontiera e delle difficoltà che abbiamo sempre avuto nel realizzarla. Non si poneva problemi di organicità o di nessun tipo. Con Baudrillard c'è stato un dialogo davvero molto bello e da parte sua ci è sempre arrivato un sostegno, un incoraggiamento a non mollare. Tra l'altro per me è stato anche un caro amico, una persona di grande disponibilità umana, una persona strana nel suo modo di essere intellettuale. Lo ricordo in scarpe da tennis e magliettina, con espressioni sorprendenti. Tutto poteva sembrare fuorché un intellettuale. E non faceva mai pesare la notorietà di cui godeva. Penso a quante mezze calzette si danno una posa impressionante. Baudrillard è stata una delle pochissime figure che ha dato elementi per leggere il presente. Perché lui è stato presente rispetto ai problemi che si presentavano, così come è stato presente rispetto alla crisi del marxismo. Nel 1973 pubblicò “Lo specchio della produzione”, che fu un libro micidiale rispetto al dibattito marxista di quegli anni e poi ci fu “La critica dell'economia politica del segno”, che fu uno dei grandi testi in cui l'analisi del marxismo ortodosso, che vedeva i fenomeni sociali a partire da una barricata e non vivendoli, veniva superata. Baudrillard invece era uno che attraversava, che stava nella strada. Non a caso amava la fotografia. Come filosofo e sociologo amava sporcarsi, vivere le esperienze. Questo è uno dei motivi che l'hanno reso sempre insopportabile alle università. Con lui, come con altri, si è creata una comunanza. Una specie di minoranze trasversali che si sanno nel pianeta e che si raccontano, per una comunanza del modo di affrontare il presente. La posta in gioco è esattamente questa: come produrre il presente? Il presente non ci è dato, anzi, ce lo vogliono confezionare e proporre, ma per quello che ci riguarda vorremmo essere noi a determinarlo e questa cosa apparteneva anche a Baudrillard. Altro che il Nichilismo di cui veniva accusato. Emanuele Pistola: Il Prof. Bad Trip invece l'abbiamo conosciuto proprio all'inizio, dopo i primi tre/quattro numeri, quando ancora eravamo funzine. Per noi della redazione era un mito: questo tizio che aveva avuto l'ardire di tradurre in fumetto “Il pasto nudo” di Burroughs. Un personaggio che aveva fatto la storia della grafica underground, un vero pioniere. Quando lo contattammo ci sostenne subito. Felice di fare parte di questo progetto, ci mandò cartoline, fotografie, francobolli (che abbiamo riproposto in questo numero). Tra l'altro ci dedicò anche la copertina del numero 8! Bad Trip aveva uno sguardo assolutamente visionario, anticipatore e lucido: parlava di una società spaccata a metà in cui orde di giovani combattevano contro la polizia, contro il sistema. Personaggio di grande umanità, la notizia della sua morte mi ha sinceramente commosso. |