Pubblichiamo i nostri contributi all'inchiesta sui Centri Sociali apparsa sulla Rivista Contest
. Ricordiamo che l'inchiesta è stata organizzata sottoponendo 10 Item di discussione a diversi Centri Sociali sparsi in tutta Italia. --ITEM 1 - Contest In molti casi l'organizzazione dei centri sociali, pur nascendo (tra le altre cose) dal desiderio di rifiutare e mettere in discussione le modalità organizzative tipiche dei partiti, ne ha spesso in forma diversa ri-assunto il senso profondo: l'assemblea di gestione diventa l'organo unico e centralizzato di governo (come la segreteria o il comitato centrale nei partiti) al quale tutti gli altri ambiti di elaborazione/decisione sono subordinati (nei centri sociali ad esempio i collettivi tematici o i gruppi, più o meno formalizzati e stabili di lavoro, nei partiti i dipartimenti o commissioni). RISPOSTA 1 - ZetaLab Da un lato è vero che la registrazione dell’assemblea di gestione è incredibilmente riduttiva, potremmo dire in difetto, rispetto al diagramma dei flussi che si incrociano in una spazio, dall’altro resta il problema di come dare continuità ad un’esperienza e di come rendere possibile lo stesso incrociarsi dei flussi. Il problema non è se l’assemblea decide delle cose: altro comunque succede fuori da essa e (purtroppo e per fortuna) non lo si può controllare. Essendo, inoltre, la nostra assemblea aperta e settimanale, manteniamo, in qualche modo, la possibilità di tornare indietro sulle decisioni. Ma a chi “appartiene” un centro sociale? Per superare la questione della “proprietà” seguiamo l’esempio dei sistemi “open-source”. Fonti-sorgente aperte in cui si assottiglia la distinzione proprietario-utente: chi si connette al sistema non lo utilizza, ma vi partecipa, ne diventa parte integrante e ha la possibilità di creare nuove versioni in un ambito di condivisione e cura del comune. ITEM 2 - Contest Alle forti trasformazioni della composizione sociale e del sistema di produzione non sono corrisposte altrettanto inedite forme di organizzazione e di lotta che potessero essere espressione di un tessuto sociale diverso dal passato. Si dice o si diceva che le forme di lotta devono essere speculari e opposte a ciò che combattono. Una volta vivevamo in un sistema dove la filiera produttiva e il sistema disciplinare di comando era “centralizzato”. Ora assistiamo a una “diffusione” della produzione e dei dispositivi che producono norme . Le forme dell’organizzazione delle lotte hanno saputo ripensarsi secondo questo paradigma? Che tipo di considerazioni si possono fare in questo senso sulla specifica esperienza dei centri sociali? RISPOSTA 2 – ZetaLab Delle novità importanti però sono emerse. Pensiamo a tutto ciò che è avvenuto attorno a Genova, soprattutto per quanto riguarda il materializzarsi di un tipo di soggettività che rappresenta una rottura forte con il paradigma fordista precedente. Certo, dall’emergere della soggettività alla trasformazione delle forme organizzative la strada è lunga, ed effettivamente è forte la sensazione di un'inadeguatezza degli strumenti e delle pratiche sperimentate. Si naviga a vista provando ad allontanarsi dalla palude della politica, ma il più delle volte ci si rimane impantanati. Specialmente dopo l'undici settembre, quando la new economy degli anni novanta ha mostrato il suo volto hard di economia di guerra, l'esaltazione generalizzata per nuovi mondi possibili a portata di mano si è andata sgretolando, e sono riemerse antiche pratiche e nuovi settarismi. A noi sembra che la percezione di una nuova composizione sociale sia emersa anche grazie all’esperienza dei centri sociali degli anni novanta. E’ necessario però avere consapevolezza che questa è solo una delle radici e che si inserisce all'interno di processi più ampi con i quali si deve confrontare. E’ come se i centri sociali abbiano rappresentato un porta d’uscita dalla politica novecentesca con un decennio d’anticipo, ma quindici anni dopo da quella porta ancora aperta continuano a passare gli stessi vizi che si volevano allontanare. ITEM 3 Alla trasformazione radicale dei territori metropolitani, fattore strategico dell'attuale sistema di produzione, non sono corrisposti ripensamenti di nuove forme della partecipazione dal basso alle decisioni. Si parla tanto infatti di perdita di valore delle istituzioni tradizionali e di quasi inutilità dei confini amministrativi quali comuni, province e regioni nel governo del territorio. A una forza che tende a svuotare di “potere sociale” i territori i “movimenti” dovrebbero contrapporne una forza uguale e opposta che tenta di ricostruire volontà collettiva? I centri sociali sono o sono stati un istituzione altenativa, un istituzione dal basso, una contro-istituzione o non hanno avuto alcun ruolo/senso rispetto ai poteri locali e alle forma della partecipazione? Ci dice qualcosa l’esperienza della Val Susa a riguardo? RISPOSTA 3 – ZetaLab Ci sembra che il nodo consista in come si gioca sull’indeterminatezza di un dentro ed un fuori, sul paradosso tra l’essere isola felice separata o luogo totalmente immerso nelle dinamiche di un territorio. Dove si estendono le mura del proprio spazio? E cosa entra ed esce delle sue porte girevoli? Rispetto alla specificità della realtà siciliana, inoltre, ci sembra che ci sia una diversità storica con cui fare i conti, determinata innanzi tutto da una storia economica che non ha mai visto un suo pieno sviluppo industriale, da una marginalità e una povertà diffusa in modo inimmaginabile, da un controllo del territorio che fa dell'illegalità il normale strumento di sopravvivenza. Una realtà dove non esiste una tradizione forte di centri sociali e dove il tessuto sociale è fortemente permeato dalla paura, dal privatismo e dalla voglia di isolamento. Dalla accettazione di un paradigma dell’assoggettamento che solo in seconda istanza passa per le istituzioni pubbliche e per la sfera economica. Da una mentalità mafiosa diffusa ancor più capillarmente della stessa mafia. Ma c'è un altro tratto distintivo della nostra terra con cui dobbiamo fare i conti: la frontiera. La Sicilia, storicamente terra di emigrazione, è diventata nell'ultimo decennio anche luogo di immigrazione e transito, riscoprendosi, tra l'altro, teatro di sperimentazione delle pratiche di repressione dei flussi migratori (cpt, deportazioni, naufragi). Forse è proprio la nostra posizione a farci vedere “centro” e “periferia” come categorie sempre più vuote. Ci sembra che i “luoghi di massima espressione delle contraddizioni interne al sistema” siano disseminati ovunque. La sfida allora per noi è stata partire della nostra “marginalità”, riuscire a pensarci come parziali, pensare noi stessi non come “il soggetto”, ma come una delle situazioni che si muovono in un territorio. Soltanto la relazione con altre realtà (anche molto diverse) ha reso possibile la costruzione di un tessuto connettivo nuovo e di forme di resistenza al dominio mafioso inteso come logica culturale egemone. Da un lato abbiamo scelto di “essere là dove le cose accadono” e di opporci alla brutalità . Dall'altro il tentativo è quello di rendere noi stessi luogo di attraversamento, provando a costruire un piano dialogico di incontro e di sperimentazione di pratiche altre non simmetriche al sistema. La sfida è proprio coniugare la “puntualità” rispetto all'urgenza con la “durata” dello stile di vita. Perché tutto c'entra: le pratiche non possono e non devono essere separate o addirittura opposte agli obiettivi, piuttosto mezzi e fini devono essere coincidenti, una sola cosa. ITEM 4 - Contest Nel passaggio della messa al lavoro dell'intera vita non è corrisposto un ragionamento integrale e collettivo su come il sindacalismo potesse acquisire un'accezione biopolitica che portasse avanti il tentativo di continuare a fare dell'organizzazione degli interessi sociali un punto irrinunciabile della politica di cambiamento. Portare avanti un intervento che riesca a tenere assieme la sfera lavorativa, la sfera dei territori e la sfera dei desideri spesse volte si tramuta in un eccesso di estetismo. Portare avanti un intervento che parte dalla considerazione della situazione lavorativa come preminente fa ricadere in dinamiche retrò. I centri sociali in questo senso sono stati un acceleratore di cambiamento di lettura e consapevolezza, un freno alle modificazioni accennate o semplicemente hanno avuto una funzione in un determinato momento e ora non ne hanno più? RISPOSTA 4 – ZetaLab Prendiamo l’indeterminatezza del confine tra sfera produttiva e improduttiva come il dato, il punto di partenza. Ma accettando la biopolitica come piano del discorso la questione della redistribuzione della ricchezza e della retribuzione della cittadinanza è solo una parte del problema. Le lotte per il reddito di cittadinanza devono essere accompagnate da una riflessione sul feticcio della merce giunto al suo stato puro, assoluto. La rivendicazione della produttività di ogni attività porta alla liberazione dal lavoro salariato o all’estensione definitiva della sussunzione reale? In questo dilemma gioca a nostro avviso un ruolo determinante la questione dei beni comuni, di una sfera di beni non oggetto di scambio mercantile: non semplicemente l’ambiente o le risorse naturali, ma la conoscenza, lo spazio e il tempo considerati come beni comuni. E’ su questo piano, sul piano cioè della creazione di uno spazio pubblico, non statuale e non mercificato, che l’esperienza dei centri sociali ha giocato e può ancora giocare un ruolo importante. C'è il rischio che anche queste righe suonino come estetizzanti, ma a partire dalla considerazione che ipotesi di reddito di cittadinanza arrivano anche da “cosiddetti economisti ortodossi”, ci sembra che la vera discriminante sia l'idea di rapporto sociale che certe ipotesi sottendono. ITEM 5 'Centro sociale' in Italia ha significato per molti autorganzizzazione, rifiuto della delega, innovazione del linguaggio politico, aggregazione fuori dal mercato, fuori dai partiti e dalle organizzazioni collaterali. Se questa premessa è vera, e se è vero che linguaggi e immaginari raccontano le trasformazioni della politica e le trainano... Allora perché oggi dire 'Centro sociale' evoca un'immagine monolitica, tendenzialmente uniforme, rituale nelle pratiche e ripetitiva nei linguaggi, spesso ricondotta a stereotipi giornalistici assai infettivi tipo: "I giovani dei centri sociali" o l'ancor peggiore "I ragazzi dei centri sociali" ? Sembra addirittura che quando si dice "Partito" si evochi nel senso comune un'immagine più varia di quando si dice "Centro sociale". Cioè: se l'immaginario di chi fa vivere i centri sociali è vario e differente, perché nel dibattito pubblico la formula centro sociale è così ghettizzante? "I ragazzi dei centri sociali": basta questa formula a gettarti nella discarica dell'immaginario! RISPOSTA 5 – ZetaLab E' vero che nell'elaborazione dell'immagine degli spazi occupati hanno avuto un ruolo forte le campagne d'informazione che ne hanno fatto emergere gli aspetti più deteriori, superficiali ed estetizzanti. Ma questo non può servire da alibi: dobbiamo ammettere che si è in qualche modo prestato il fianco ad una rappresentazione riduttiva. C'è stata un'incapacità diffusa di uscire da codici comunicativi chiusi, da una certa retorica del simbolo, da linguaggi costruiti all'insegna dell'autoreferenzialità e della noia. Un'incapacità di fare emergere un orizzonte in grado di articolare complessità e differenza. Per ciò che ci riguarda, in cinque anni abbiamo usato circa una quarantina di nomi e sigle (a partire da Laboratorio Zeta, ZetaLab, Z, Z.E.T.A., zeta, La decodifica ci sembrava troppo immediata, il significato troppo monolitico. E invece bisognava essere mutanti. Aprirsi alla contaminazione. Trovare un nome che desse il senso del divenire. Abbiamo tentato di giocare sul significante. E allora una lettera che può essere un segno, una parola, una sigla, un acronimo. La sua determinazione cambia in continuazione. La cambiano gli occhi che la leggono, cambiano le storie che racconta. Un'iniziale che viene alla fine. Uno scarto consonantico che imbarazza la determinazione. Essere indecifrabili, fare emergere la necessità di una decodifica per nascondere che il velato era il codice. Una questione di differanZ. ITEM 7 - Contest All’interno delle assemblee dei centri sociali si riproducono delle dinamiche di potere che sono identiche alle dinamiche relazionali della società. Basti pensare ai processi di inclusione/esclusione che vengono reiterati e riprodotti. Per quanti è faticoso intervenire perché bisogna alzare la voce, anche se magari non si è certi delle proprie idee, bisogna indurire il tono per far capire che pretendi attenzione, bisogna forzare i tempi della discussione per dare ordine alle cose. Finendo che, per dover tener in conto tutti questi elementi “interni”, si perdono le sfumature e il valore aggiuntivo delle proposte/riflessioni che si volevano portare avanti. E questo è un compromesso che, per affetto verso se stessi, non tutte e tutti sono disposti a fare, perdendo così nel silenzio, nel non espresso, patrimoni immensi. Sarà uno dei motivi per cui le assemblee dei centri sono poco frequentate dalle donne, e queste sono mediamente più silenziose degli uomini? Si instaurano poi dinamiche in cui il ruolo di "rappresentanza" del proprio centro sociale è in parte proporzionale alla capacità di imporsi in assemblea, o quanto meno alla sistematica, spietata e incrollabile volontà di "praticare l'obiettivo". Sarà anche per questo che i centri non interpretano e non fanno vivere la complessità di sfumature dei desideri e la irriducibile diversità del conflitto femminile? RISPOSTA 7 – ZetaLab Ci sembra che ci sia una certa fatica a fare i conti in modo definitivo con pratiche strumentali dell’agire. La separazione tra mezzi praticati e fini perseguiti è lontana dall’essere sanata. E questo è strettamente connesso alle dinamiche comunicative e relazionali: alla distanza tra democrazia rivendicata e democrazia praticata. Da quanta etica ed estetica della rudezza sono caratterizzati molti ambienti di movimento? E perché c’è tanta difficoltà, quasi paura, a rivendicare il ruolo politico della tenerezza, della cura, della gioia, della dolcezza? E invece quanto è fondativo di molte esperienze il ruolo della “generosità”, soprattutto se contrapposto al “sacrificio militante” novecentesco? Il silenzio subito viene riempito da valanghe di parole. Come se non avesse legittimità, come facesse paura, imbarazzo. Come se non riempisse lo spazio vuoto. E questa incapacità di sopportare questo negativo fecondo di non-detti non lascia possibilità, a chi non ama imporsi e sovrapporsi, di ordinare i suoi pensieri ed esprimerli. ITEM 8 - Contest I centri sociali hanno avuto un periodo di sviluppo quando erano gli unici luoghi alternativi dell'aggregazione e locali commerciali particolarmente cari.. Recentemente si è assistito allo sviluppo di luoghi che non sono necessariamente centri sociali, ma che non sono neanche luoghi prettamente ad uso commerciale. I concerti, gli eventi artistici, determinati eventi culturali, etc sono ritrovabili anche in una miriade di tipologie diverse luoghi che in alcuni casi addirittura del centro sociale hanno poco. Questo ha una serie di effetti e di ricadute. Pensiamo soltanto ad esempio al fatto che all’interno dei centri sociali non si producano più generi musicali innovativi, ma che anzi, i centri sociali in molti casi si trovano ad inseguire degli stili anziché anticiparli. RISPOSTA 8 – ZetaLab E’ vero che i centri sociali hanno lanciato novità nel panorama artistico e musicale italiano, ma non riteniamo altrettanto vero che tutto ciò sia stato all’insegna dell’originalità. In fondo, i generi musicali come punk, ska o hip-hop non sono stati di certo inventati in Italia. Ci sono stati tentativi di rivisitazione dei generi. Ma alla lunga è prevalsa, anche all’interno dei centri sociali un'omologazione dell’offerta, che risponde, alla fine, anche ad un omologazione della domanda. Più che creare generi nuovi, bisognerebbe forse uscire dai “generi”, essere in grado di non rispettare i canoni. Uscire da questa mania della parcellizzazione e catalogazione, speculare a quella del mercato, che ha creato più nomi che novità musicali reali: pensiamo per esempio ai modi assurdi (pieni di pre-post-trans-new-indie-street-brutal) in cui si definiscono i gruppi che vengono a portare le demo (si parlava prima della discarica dell'immaginario?). In Sicilia il problema è ancora più grave: la mancanza totale di spazi pubblici (ma anche privati), il provincialismo, l’isolamento geografico e comunicativo, la mancanza anche di etichette indipendenti (tranne rare eccezioni catanesi degli ultimi anni) rendono ancor più arduo l’affiorare di realtà pur presenti nel territorio. Dalle nostre parti le uniche novità si sono viste in ambito teatrale: alcune delle cose più significative sono nate de persone o gruppi che, uscendo dai luoghi ufficiali e sclerotizzati delle scuole teatrali, hanno trovato nei centri sociali terreno fertile per la sperimentazione. Questo ha dato vita ad un nuovo modo di raccontare che esce dagli stereotipi classici sulla Sicilia, ma che, al tempo stesso, non prescinde dai contesti. -- |