Il Giappone e le mura del villaggio globale
(Un Fantasma si agira per il Giappone -2.0) -- “Il suono è come un ruvido schizzo. È qui che la transcodifica diventa importante: ogni milieu serve da base per la composizione di un altro milieu. Il marcare un territorio è qualcosa di dimensionale, infatti, non si tratta di misurare il territorio con un metro ma con un ritmo.” GD & FG TRADUTTORE ELETTRICO AMPLIFICATO Siamo in Giappone, l’anno non è importante, quello che conta adesso non è il singolo passare delle stagioni -per cui qui tutti mostrano una estrema attenzione- ma è il millennio. Anni e anni di autoseclusione hanno portato a sviluppare una percezione particolare verso la natura e altrettanto verso le persone, soprattutto se straniere. Ciò che conta ancor di più è che qui si fanno le prove generali per la simultaneità non solo del tempo e dello spazio, ma anche delle lingue. E se per i primi due non ci sono problemi, per le lingue i giapponesi sono come gli italiani: nessuna delle due popolazioni è capace di comunicare con una lingua diversa dalla propria. Però a differenza che in Italia, qui si cerca di supplire a questa carenza: infatti uno dei prodotti tecnologici più venduti è il “denshi jisho”, traduttore elettrico amplificato. Il traduttore viene usato per rendere meno ostile una delle lingue più difficili del mondo, una lingua che già dal modo in cui è scritta presenta notevoli difficoltà. Come noto, la scrittura giapponese è composta da tre tipi di caratteri che vengono usati per comporre le frasi: Hiragana, Katakana e Kanji. Dei tre i Kanji sono i famosi segni ideogrammatici. Ma quello che importa adesso, è che se sul “denshi jisho” venisse digitata la parola italiana villaggio verrebbe tradotta in giapponese come mura. MURA SONORE Nel saggio “On the refrain” Deleuze e Guattari parlano di mura e sottolineano come “le componenti sonore e vocali del territorio siano di grande importanza” e parlano di “mura sonore, o come minimo, mura costruite anche con mattoni sonori”. Il suono della parola “mura” pronunciato in Giappone, non tenendo in considerazione uno spazio-tempo omogeneo, fa il giro del mondo e si ferma -per mettervi radice- in Italia. È come se il suono “mura” si materializzasse e producesse i confini che circoscriveranno le città. Il suono diviene materia. Materia di costruzione. Mattone non solo sonoro. La parola giapponese “mura” tradotta in italiano significa villaggio. La parola italiana mura tradotta in architettura significa limite. Limite fra città e campagna, fra ambiente costruito e territorio. Le mura delle città italiane e occidentali sono il confine visibile fra quello che nella storia della città sarà il limite di demarcazione non solo fisico ma anche concettuale fra artificio e natura, fra ambiente costruito e ambiente naturale. Le mura spesso sono avvertite in modo traumatico, sono motivo di assedio, motivo di scontro, motivo di dibattito, motivo di posizioni di attacco o difesa. Producono il trauma della discontinuità, producono una differenziazione netta fra il concetto di campagna e città, e dibattiti infiniti sulla loro relazione opponente, dialogica, conflittuale, caosmotica. LA MUSICA E' CAMBIATA Le mura sono legno, palizzata, sono fatte di mattoni, diventano cortina, si inspessiscono e inspessiscono, descrivono e cinturano posizioni, riempiono i territori e la storia. Famose sono quelle di Atene, di Roma, di Costantinopoli. Le mura impegnano i migliori geni del Rinascimento, impegnano Michelagelo che ne dà una visione inconsueta e potente quando li apre in un abbraccio d’amore verso le cannonate dei nemici, nell’accoglimento dei colpi più che nell’opposizione ad essi, come se praticasse lo judo più che il karate. Le mura ad un certo punto della storia delle città scompaiono. Non hanno più senso di esistere perché è cambiato il modo di conquistarsi. È cambiata la logica che li sosteneva, è cambiato il suono che li alzava e anche quello che li abbatteva. Nel momento in cui la società comincia a diventare moderna ed inizia ad avviarsi verso un mondo considerato nella più ampia estensione di villaggio globale, le mura fanno la loro scomparsa, il villaggio non ha più bisogno di essere circondato. La musica diventa trasparente. Prima non lo era mai stata, al massimo era stata invisibile. La “musica” è cambiata. Ed è stato come se un “territorio” costruito da un suono abbia avuto la possibilità di materializzarsi e diventare un “territorio” fisico. LEARNING FROM AKIHABARA Bisogna anche dire che il primo significato del kanji “muro” era stanza, camera. In qualche modo la costruzione del muro era la costruzione di un luogo dentro al quale potersi isolare. Le mura erano il suono che circondava la città e il muro quello che circonda la persona. L’odierno produttore di “mura” in Giappone è la Sony. È lei a inventare il walkman: quello che da trent’anni è il “muro” sonoro portatile dentro al quale i giapponesi si isolano. Al di là di questo muro riescono sia a stemperare gli aspetti negativi legati allo stress della vita moderna, sia a godersi un ulteriore spazio dentro al quale sperimentare nuove sonorità. Ma sperimentano anche un piacevole effetto video-clip, in cui le immagini della vita assumono un nuovo ritmo e alimentano un immaginario in cui la realtà è adesso sincronizzata col suono del proprio “muro”. Non è un caso che oggi il Giappone vive una sorta di nuclearizzazione, in cui anche il walkman contribuisce alla costituzione dello spazio. Parafrasando Kaichirou Morikawa, autore di “Learning from Akihabara” e docente di Architettura alla Waseda University, potremmo dire che sarebbe corretto parlare non solo di metropoli ma anche di personapolis. Dove il gusto proprio e la personalità stanno diventando un fenomeno geografico, o per meglio dire, un fenomeno che produce una nuova geografia, dove le espressioni diventano dimensioni. Dove al monumento viene preferito il movimento. Il suono a volte non è soltanto un ruvido schizzo, a volte è un progetto esecutivo. F F Riferimenti bibliografici “La territorializzazione è un atto del ritmo che diventa espressione. Il marcare un territorio è qualcosa di dimensionale, ma non si tratta di misurare il territorio con un metro, ma con un ritmo”. G. Deleuze, F. Guattari. “Of the refrain”, in “A Thousand Plateau, Capitalism and Schizofrenia” Pag 315, The Atlon Press, London, 1988. “Adesso le forze sono usate per organizzare uno spazio e non per la determinazione di un centro. Le componenti sonore e vocali sono di grande importanza: muro sonoro, o come minimo un muro con alcuni mattoni sonici che lo compongono”. G. Deleuze, F. Guattari. “Of the refrain”, in “A Thousand Plateau, Capitalism and Schizofrenia”, Pag 311, Op. cit. "È qui che la transcodifica diventa importante: ogni milieu serve da base per la composizione di un altro milieu.” Meter is dogmatic, The rhythm is critical, it ties together critical moments, or ties itself together in passing from one milieu to another. It doesn’t operate in an homogeneus space-time, but by heterogeneus blocks. It changes direction. Bachelard is right to say that “the link between truly active moments (rhythm) is always effected on a different plane from the one upon which the action is carried out.” G. Deleuze, F. Guattari. “Of the refrain”, in “A Thousand Plateau, Capitalism and Schizofrenia” , pag. 313, Op. cit. “Vi è un preciso territorio quando le componenti del milieu cessano di essere direzionali e diventano dimensionali. “G. Deleuze, F. Guattari. “Of the refrain”, in “A Thousand Plateau, Capitalism and Schizofrenia” , pag 315, Op. cit. -Akihiro Kitada The City of Advertising: Tokyo, Kosaido Publishing, Tokyo, 2003. -Morikawa, Kaichirou.. Learning from Akihabara. The Birth of a Personapolis. Gentousha, Tokyo, 2003. -- |