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“All'ombra di Dio” è il titolo del numero 21 della rivista Cyberzone, il periodico visionario che da dieci anni viene realizzato a Palermo da Emanuele Pistola, Enzo Macaluso e Marcello Faletra. Abbiamo incontrato la redazione per discutere dei temi della rivista, della loro esperienza editoriale e, ovviamente, di molto altro...
Data la lunghezza e la densità della conversazione abbiamo deciso di dividerla in due puntate: nella prima (questa) affrontiamo lo specifico dell'ultimo numero parlando di spiritualità, del riemergere di bisogni identitari e della crisi della ragione occidentale, nella seconda spazieremo lungo temi che hanno caratterizzato l'esperienza ormai decennale di Cyberzone...




ZetaLab: Cosa vi spinge ad occuparvi di un tema così delicato come quello della sacralità? Come state all'ombra di Dio?

Enzo Macaluso:
Ci sono diversi piani a cui noi abbiamo pensato: uno è quello stretto dell'attualità, c'è una ripresa di “religiosità” o così viene spacciata dai mass media, e poi c'è, intrinseco in ognuno di noi, un bisogno spirituale.
Ci convinceva poco il modo in cui viene trattato questo bisogno nella contemporaneità. C'è una ragione politica per cui la religione prende piede, c'è un ritorno di protagonismo della Santa Chiesa: siamo arrivati al punto che Ratzinger afferma che l'unica religione cattolica riconosciuta e riconoscibile è quella di Sacra Romana Chiesa, e questo è un chiaro segno regressivo.
Al fronte di questo c'è una sorta di menzogna generale che aleggia su tutta la faccenda perché, di fatto la religione come modello è un discorso estenuato, non ha più elementi di novità. Viene riproposta nell'attualità come una sorta di ritorno all'ordine, come un bisogno di identità, che, siccome manca, ha un segno regressivo. La religione ha un'identità forte che coinvolge in toto.
Ma la sfera della religione e, nella fattispecie, le religioni occidentali, non hanno più nulla da dire. Per cui bisognerebbe demistificare, sfatare, tutto questo discorso, ed è quello che noi abbiamo tentato di fare dando la parola a tanti che hanno affrontato il tema della religiosità da più punti di vista.


Zetalab: Quali sono i contributi presenti in questo numero?

Marcello Faletra:
La rivista porta nel retro di copertina un'espressione di Ghandi, pronunciata un anno prima di essere assassinato, che esprime una profonda verità: “Quanti asseriscono che la religione non ha niente a che vedere con la politica, non conoscono il vero significato della religione”.
Il numero non tratta specificamente dei problemi politici della religione, ma di come proteggersi dall'onda d'urto della religione.
Perché c'è un'onda d'urto, come una specie di tsunami, una specie di delirio generale che chiaramente si coniuga anche con il delirio politico, con il delirio neoliberista, con il cinismo che impera.
La religione è in qualche modo l'ombrello, un ombrello metafisico che ogni uomo si porta e di cui ha necessità a livello individuale o a livello collettivo, questa necessità viene strumentalizzata e rovesciata verso forme di dominio dell'immaginario.
Da questo presupposto noi abbiamo messo in gioco una serie di autori che in parte sono sempre stati collaboratori, come Baudrillard che adesso è morto, e altri che collaborano per la prima volta come Barberio Corsetti, un'importante regista teatrale. C'è Istvan Horkay che è un'artista ungherese che ci ha dato delle straordinarie immagini su una rielaborazione della tragedia di Auschwitz, noi l'abbiamo messo per una semplice ragione: perché anche Dio dopo Auschwitz non è più Dio, è qualcos'altro. Oggi gli Auschwitz si sono moltiplicati, è diventato un modello, un paradigma, il modo in cui la razionalità e l'industria della morte si perpetuano: la morte è diventata una pratica industrializzata ovunque, lontano e vicino da casa.
Da questo punto di vista qual'è il senso della religione? Bisognerebbe mettere da parte la religione e anteporre un'etica dei rapporti umani, un'etica tutta da indagare. Da questo punto di vista Maffessoli rispolvera il vecchio mito di Dioniso, dove il senso dell'identità viene meno, un mito in cui le identità vengono liquefatte.
Il numero ospita due frammenti di Daisaku Ikeda che per la prima volta vengono pubblicati in Italia. Uno di questi è: “ il capitalismo è morale?”. Qui viene messo radicalmente in discussione il senso stesso del capitalismo. Perché il capitalismo è irrazionale e tende soltanto al profitto e mai come in questi anni è tutt'uno legato alla morte: è nel nome del capitalismo, è nel nome del petrolio che si stanno facendo le guerre in Afghanistan e in Iraq, come è in nome delle grandi ditte farmaceutiche che milioni di persone muoiono in Africa.
Il numero ospita anche un testo straordinario di Gennaro Carotenuto, corrispondente dall'America Latina, che mette a fuoco la continuità che c'è tra il piano Condor, che negli anni cinquanta veniva perpetuato a danni degli Indios che venivano sterilizzati, e le carceri di Abu Graib.
I contributi presenti in questo numero pongono delle barriere a Dio perché si pongono all'ombra di Dio. Dio non riesce a capire la propria ombra.


Nell'introduzione accennate ad una “perdita dell'innocenza” necessaria per guardare al di là del bene e del male. Sembra che il riferimento immediato sia alla Guerra globale e allo scontro di civiltà, cioè una guerra fatta come crociata del bene contro l'impero del male, una crociata fatta appunto nel nome di Dio.

E. M.
: Il panorama che abbiamo davanti è quello della guerra di religione propagandata del grande battage mediatico come il collante del mondo occidentale. Finita la guerra fredda e la paura del comunismo, la religione ha assunto questa dimensione per cui la necessità della costruzione di un nemico esterno è fondamentale, non per l'identificazione del nemico ma per l'identificazione di te stesso. Senza il nemico non sei niente. Non c'è bisogno di scomodare Carl Schmit per rendersi conto di come la dimensione religiosa e la guerra di religione nascondano che questo mondo ha perso il senso di se stesso. L' occidente è una virgola del mondo, ma ha la presunzione di governarlo.


Questo bisogno indotto di spiritualità, però, ha effetti molto diversi, che vanno dalle espressioni dell'integralismo ai fenomeni che voi chiamate di “bricolage della spiritualità”. In che modo sono collegati fenomeni così diversi?

M. F.
: C'è un immaginario che in qualche modo lega tutte queste cose. L'immaginario non è altro che la facoltà di immaginare fenomeni spazialmente e temporalmente lontani. E' quel grande universo di segni, di fatti, di situazioni, di immagini che costituiscono il nostro modo di rappresentare il mondo. Ecco in che modo questi fenomeni sono legati: le forme in cui ciascuno di noi rappresenta il mondo hanno degli elementi in comune. Tuttavia, ciò non vuol dire che c'è una comunanza di significati. Il modo in cui ognuno di noi attraversa il problema religioso o il problema della trascendenza è molto diverso da quello stabilito dalle religioni monoteiste.
Quello che sta accadendo è molto grave, si sta lavorando molto a livello mediatico sulle radici. Ci vogliono far credere che le nostre radici appartengano ad un' ipotetica cristianità, che di fatto non è così, perché se è vero che il nostro linguaggio fonda anche la nostra rappresentazione e la nostra storia, allora noi parliamo il linguaggio dei greci, il nostro logos ci viene dai greci, ma non solo, la nostra forma di comunità ed il nostro ordinamento giuridico ci vengono dai romani.
Le nostre radici, la nostra ontologia sociale, non ci vengono certo dal cristianesimo. E' il cristianesimo che si è immesso in queste radici, tant'è che molte delle parole del cristianesimo derivano dal diritto romano: Oikonomia, che per il diritto romano era la gestione della vita terrena.
Negli ultimi anni è stata messa in atto una sorta di criminalizzazione, di messa al bando, delle forme di pensiero laico. Sono stati propagandati il culto della paura, il culto del mistero, il culto dell'enigma attraverso l'immaginario, attraverso una certa cinematografia, una certa letteratura, un certo giornalismo che sbatte continuamente in prima pagina morti e miracoli. Tutto questo concorre a fondare un immaginario collettivo fondato sulla paura, che noi riscontriamo anche nelle nostre strade. La paura fa vendere, fa vendere tutto. E fa vendere soprattutto il pregiudizio.
Per tornare all'esempio cattolico, il fatto che le gerarchie ecclesiastiche abbiano deciso che i gay o le coppie di fatto, non debbano avere gli stessi diritti delle coppie sposate è di una gravità epocale perché ci proietta in una forma odierna di oscurantismo preoccupante, siamo tornati a prima del 1638 quando fu sancita la costruzione degli stati nazionali nei quali era la legislazione laica a garantire la libertà di culto e di espressione e non il contrario.
Tutto ciò sta avvenendo sotto i nostri occhi, e con una forma di recrudescenza e di cinismo che sono assolutamente paralleli a quelli delle guerre.
Si parla molto di una sinistra che implode e di una destra che viene sempre più legittimata dalla propria violenza ed è su questi grandi vuoti, sulle forme di socializzazione che vengono meno che si costruisce il mercato della paura e della violenza. Il mercato di Dio.


Voi descrivete molto bene questa realtà in cui economia, politica e religione mischiano i loro piani. Sembra quasi di essere arrivati allo stato puro dell'iconolatria, quello del culto dell'immagine e della merce esse stesse divinizzate. Possiamo oggi dire invece che “Dio è in ogni luogo”, “Dio è in ogni logo”.

E. M.
: Questo discorso sulla religiosità nasconde le vere questioni di fondo e la mia impressione è che si tratta di una di quelle battaglie che viene fatta alla fine di un ciclo di civilizzazione. Credo che il discorso religioso sia un discorso estenuato e ho l'impressione che venga alla ribalta soltanto perché c'è il vuoto assoluto. L'occidente non ha più l'idea di un indirizzo, c'è solo l'idea di una razionalità persa.
La crisi della ragione, su cui tanto si è lavorato in questi anni, non è una sciocchezza. Ed è una crisi che coinvolge tutto ciò che ha contribuito a fondarla, compresa l'esperienza religiosa. Per cui l'idea tanto propagandata di un ritorno in massa delle questioni religiose è una sciocchezza, è soltanto il sintomo palese, feroce, di una crisi del nostro mondo e di un'assoluta mancanza di prospettive.
E poi c'è un'altra questione, la mia impressione è che tutto questo parlare di immaginario nasconda il conflitto. Quando si parla molto di immaginario, vuol dire che a fondo la materialità delle nostre esistenze non ha più sbocchi in quello che noi chiamavamo conflitto. Per cui c'è una logica sostitutiva in tutto questo. Io non ipostatizzerei l'immaginario come sfera su cui lavorare, perché a volte può nascondere delle insidie che hanno ben altre motivazioni.



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